Archivi tag: fotografia

AURELIO AMENDOLA. “Un’antologia. Michelangelo, Burri, Warhol e gli altri”

Celebra 60 anni di carriera del Maestro della fotografia Aurelio Amendola, la Mostra antologica a cura di Paola Goretti e Marco Meneguzzi, visitabile nelle sale del Castello Svevo di Bari fino al 25 giugno 2022.

Un allestimento che si attraversa in punta di piedi, raccolti in se stessi come in poche Cattedrali in cui la Bellezza è più forte della voce dello stupore.

Potrei anticiparvi che incontrerete straordinari ritratti d’artista, immersive foto di architettura e della più grande opera di Land Art esistente al mondo (il Grande Cretto di Ghibellina di Alberto Burri), originali punti di vista di sculture del Rinascimento italiano (che Amendola disegna con la luce come Van Gogh racconta, in una lettera al fratello Theo, di fare con i tronchi dei salici: lavorandoci “finché non c’è dentro un po’ di vita”), incursioni nell’Arte Contemporanea e nel bianco e nero del Maestro Amendola che si traduce in un vero e proprio atto creativo.

Potrei preannunciarvi i suoi happenings e la potenza con cui, tra gli altri, documentano Alberto Burri che, nel suo studio di Città di Castello, attraversa l’obiettivo con la ferita della combustione, Claudio Parmiggiani che crea e si sottomette alla scheggia e ai frantumi del suo labirinto di cristallo, Mario Ceroli (che Achille Bonito Oliva chiama “l’archi-scultore”), le cui grandi ali di farfalla, intagliate in legno in un’alternanza di pieni e di vuoti, sembrano legare, con un respiro, empirico e trascendente.

Potrei… Ma non racconterei comunque nulla dell’esperienza che farete davanti ad ogni singola fotografia, che diventa essa stessa “corpo”, ridefinendo il significato comune della fotografia.

È alterità radicale che supera il margine tra simbolico e reale che fa, generalmente, da scudo tra l’osservatore e l’oggetto o il soggetto rappresentato. Ad ogni scatto, ritroverete amiche le parole che Lacan scrisse nel Seminario VII: “Mi è estraneo, eppure al centro di me”.

Gabriella Grande

Pubblicità

IL GESTO FOTOGRAFICO DI CARMINE LA FRATTA, TESTIMONE DI UNA VOLONTÀ CHE CHIEDE DI RESISTERE

La fotografia è guerriera quando attraversa il nostro tempo senza giustificarlo, diventando testimonianza di un cambiamento profondamente umano, raccontato nella poetica della forma.

A distanza di alcuni giorni dai festeggiamenti del Santo Patrono della città di Taranto, si vestono di ulteriore potenza espressiva gli scatti del fotografo tarantino Carmine La Fratta che raccontano come la volontà abbia subìto un contagio collettivo e la dimensione dello spirituale stia cedendo lo spazio interiore sacro, da difendere saldamente, ad un intervallo sempre più precario, in rapida evaporazione cosciente.

Ph Carmine La Fratta

Il primo scatto condensa il volto di una città che le difficoltà e i sacrifici hanno mortificato e complessificato. La luce calda dei lampioni, allineata con cura con la fila delle candele, prima accese, poi spente e infine di nuovo accese, in un’alternanza che rimanda a quella della luce semaforica, in quello snodo di Corso Vittorio Emanuele II in cui il segnale stradale pedonale raffigura un uomo con il volto coperto da un adesivo, è la sintesi di uno stato d’animo che si manifesta in questo istante di collettiva “distrazione”. Nessuno sguardo verso il Santo, nessuna ferma volontà di accogliere il momento nella sua potenza emotiva ed anche il selfie lo si preferisce da un’angolazione che difficilmente catturerà il Patrono e il senso di quello che si sta vivendo. Dritta e fiera davanti al passaggio di un’icona, che dovrebbe costruire un anello tra il trascendente e il reale, c’è solo una palma perché la Natura quell’atto di volontà di far “resistere” la Bellezza lo compie ogni giorno, in silenzio.

Ph Carmine La Fratta

Anche il suo secondo scatto sembra raccontare la stessa ricerca dell’uomo di un tangibile che riesca a scuotere una volontà troppo minata dall’insoddisfazione, da un reale che celebra un rito che pare non essere sempre in grado di dare risposte. Zaccheo salì sull’albero per vedere il passaggio di Gesù nella città di Gerico (come ci racconta Luca nel suo Vangelo). L’uomo che La Fratta ha immortalato nel suo scatto è il contemporaneo Zaccheo che, nella spettacolarizzazione del gesto, esprime l’estremo tentativo del desiderio di restare vivo. Desiderio significa letteralmente “mancanza di stelle”. L’opera fotografica di La Fratta sembra ricordarci che dobbiamo riscoprire il modo di “trovare le stelle”, perché una società che si allontana dalla legge del suo desiderio, si ammala e uccide la volontà.

Ph Carmine La Fratta

L’ultimo scatto ci incaglia come pesci nella rete dell’obiettivo, tra desiderio di trascendenza, che spinge incessantemente avanti, e la necessità a cui sottopone “l’animale che ci portiamo dentro” e che assoggetta il desiderio alle necessità del capitalismo. Il vicolo stretto e angusto della Città vecchia, che La Fratta ha scelto come cornice di questo racconto fotografico, è uno dei tanti rami in cui l’Imperatore bizantino Niceforo Foca fece organizzare la struttura urbanistica della città di Taranto, dopo la distruzione del 927 per mano dei Saraceni, per proteggere la città dagli attacchi di nuovi invasori, rallentando il passaggio nei vicoli che consentono, ancora oggi, l’attraversamento di una sola persona alla volta. Un vicolo che racconta, quindi, la volontà di resistere di un passato la cui eco ci “co-stringe” a non cedere alla renitenza alla leva della Volontà, e invita a diventare dei nuovi Philippe Petit (il funambolo delle Torri gemelle del World Trade Center di New York) in equilibrio sul quel filo della luce che, nell’opera fotografica di La Fratta, segna il confine tra conflitto e desiderio, e trasmette l’eredità del gesto dell’Arte che restituisce il senso della volontà di presenza attiva, perché niente cambia finché non ci lasciamo interrogare dal mistero delle cose a cui l’Arte sa dare forma e rappresentabilità.

Gabriella Grande

Carmine La Fratta vive a Taranto, punto di partenza della professione fotografica. Appassionatosi al teatro, collabora con compagnie e testate giornalistiche locali nel documentare il lavoro di preparazione degli spettacoli e foto di scena. Fin dai primi anni di lavoro, le sue immagini sono diventate un importante risorsa di archivio e testimonianze attraverso gli anni con mostre, pubblicazioni, copertine, manifesti. Nel periodo 1978/1981, lavora collaborando con l’ufficio pubbliche relazioni come fotografo industriale in seno alla Italsider di Taranto, documentando varie fasi di lavoro, produzione utili per pubblicazioni e divulgazioni tecniche, sempre per l’Italsider ha seguito eventi culturali collaborando con importanti artisti e scrittori, fra tutti Domenico PORZIO. Collabora con vari enti, tra cui l’ente Provincia di Taranto che gli consente di entrare in relazione con realtà legate al territorio. Segue il premio “Ori di Taranto”. Documenta a Tellaro (Liguria) momenti di vita dello scrittore e regista Mario SOLDATI. Vincitore del concorso “Vougue sposa” e del Premio colore di ClicCiak per le fotografie di scena del film “Il miracolo” del regista Edoardo Winspeare. Fotografo di scena per i film “Scilla non deve sapere” del regista Bruno Oliviero con Blasco. Direttore della fotografia del film “Marpiccolo” del regista Alessandro di Robilant. Delle sue foto sono state scelte dalla Puglia Commision Film per la mostra del Cinema di Venezia 2010. Fotografo nel pool ravvicinato della sala stampa della Santa Sede, ha seguito la visita a Taranto di Giovanni Paolo II. Ha esposto in numerose mostre personali e collettive a carattere nazionale. Le sue foto sono presenti in istituzioni e collezioni pubbliche e private. Le recensioni sui suoi lavori sono presenti in varie pubblicazioni.
Pubblicazioni:
“Iconografia dei santi a Taranto” (Regione Puglia)
“Iconografia sacra a Taranto” (Regione Puglia)
“Iconografia dei santi a Manduria” (Regione Puglia)
“Ventuno anni dopo” (A&B editori)
“Passione Tarantina” (Edizione Archita Taranto)
“Giuseppe Rossetti Pittore” a cura di Silvano D’Uggento (edito da Banca Antonveneta)
“28 e 29 ottobre 1989…ho fotografato un santo” Pubblicazione con il patrocinio della Ambasciata Polacca in Vaticano (Caforio Editore)
“Settimana santa a Taranto “ (Edit@ Casa Editrice)

GIORGIA ZECCA: L’ARTISTA CHE DIPINGE CON LA LUCE

La fotografa e pittrice Giorgia Zecca (Taranto, 1995), nel giugno 2017 ha  partecipato all’O­pen Tour presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna, esponendo il trittico “Il borgo/Il mare/La luce” (recensito su questo blog)  e con lo stesso lavoro ha partecipato alla mostra MediterrArte curata dal professore Bruno Benuzzi e Enrico Ace­ti, presso la Galleria ArtForum Contempo­rary e successivamente a Beirut, in Libano.

 

  1. Stai per laurearti all’Accademia di Belle Arti di Bologna. Cosa significa per te scegliere l’arte non solo come passione, ma come percorso di vita?a1

Io ho iniziato in maniera molto ingenua l’Accademia di Belle Arti, perché a Taranto non sono mai riuscita a respirare molta arte come avrei desiderato, come invece ne sentivo la necessità,  e guardavo all’Accademia di Belle Arti di Bologna come ad  un sogno. Poi, però,  già  dopo il primo anno a Bologna, ho capito che  è  la fotografia il mezzo con cui mi esprimo con maggiore verità, mentre la  pittura  – che è il corso che ho scelto di seguire in Accademia – non è esattamente la mia strada. Quindi posso dire  che ho scelto l’arte come percorso di vita, come professione,  perché mi piacerebbe tanto lavorare sempre nel mondo dell’arte, però ciò che mi appassiona davvero moltissimo è la fotografia. Infatti questi  tre lavori sul Mediterraneo (*)  scaturiscono  proprio da questa passione per la fotografia e per la mia terra.

  1. Mi hanno molto colpita le tue foto sul Mediterraneo (*). La luce è la grande protagonista. Quando decidi lo scatto, quello che insegui è la bellezza che la luce conferisce alla forma delle cose, alla loro relazione o lo stato d’animo, l’emozione che smuove in te quello che la luce è stata in grado di rivelarti in quel momento? Ovvero, è  la luce che ti svela qualcosa o sei tu che interpreti la luce?1

La luce è una cosa che sento molto dentro, proprio come uno stato d’animo. Io  vivo la luce in maniera molto emotiva da sempre,  da quando ero piccola.  Quando vado a fotografare, per me la luce è fondamentale, perché mi piace modificare le foto il meno possibile e quindi se riesco a trovare, nel posto in cui sono, la luce “perfetta”, sia per come mi sento io in quel momento sia per come valorizza l’architettura del luogo o il paesaggio, allora quello è proprio il momento ideale per scattare una foto. In generale,  quando torno a casa dopo aver visitato un luogo, sento  a pelle di aver fatto delle belle foto se c’era una bella luce, se c’era la luce “esatta”, ovvero la luce che rispecchiava il mio stato d’animo. Spesso, invece, mi capita di sentirmi delusa  proprio in base alla luce.  Magari quel giorno c’era un temporale o una giornata meno luminosa ed io,  invece,  ero molto luminosa “dentro” e quando poi andavo a scattare, non riuscivo a cogliere niente di interessante e tornavo a casa delusa. Questo mi è successo un sacco di volte. Quindi,  indubbiamente,  la luce è uno dei motivi centrali della mia vita in generale, ma anche della fotografia e del mio stile.

  1. Sempre parlando delle tue foto (*), la bellezza di quegli scogli, del modo in cui sono stati scolpiti dal Mediterraneo sta anche nel loro essere indifesi, nella loro assoluta mancanza di protezione.  L’artista, secondo te, è indifeso come quegli scogli quando lo investe l’intuizione di quello che creerà?5

Sì, siamo tutti indifesi. Un po’ in generale tutti gli artisti lo sono. L’ho potuto notare anche in Accademia. Noi artisti siamo presi dal momento,  dall’ispirazione,   ma poi quando a lavoro finito lo guardiamo insieme ai Professori, ad altri artisti o nel contesto di una mostra, siamo tutti fragili, siamo tutti  impauriti, siamo tutti spaventati. L’artista in generale tende ad essere facilmente un bersaglio. È  un concetto soggettivo l’arte, per questo   è “soggetta”  (scusa il gioco di parole!) proprio ad essere colpita anche dai pareri più brutali o a non essere capita proprio per niente. E a me è successo tante volte, anche in questi anni, di avere in mente un’ idea ben precisa e poi, quando  invece mostravo la mia opera,  veniva capito tutt’altro e mi sentivo colpita, mi sentivo ferita nel profondo, proprio perché non veniva colto il senso che volevo dare all’opera. È un continuo lavoro su me stessa, anche perché  da quelle critiche sono derivati gli spunti di riflessione per capire meglio  come mai il mio lavoro avesse dato quell’impressione e non quella che mi ero programmata di dare.

 

  1. Nel saggio “Della regola del gusto” il filosofo Hume scrive che “la bellezza non è una qualità delle cose stesse: essa esiste soltanto nella mente che le contempla, e ogni mente percepisce una diversa bellezza.” Cos’è bello per te?

    3 ph violetta petrelli
    Ph: Violetta Petrelli

Per me è bello sicuramente tutto ciò che ha un fascino.  Io faccio sempre distinzione tra bellezza e fascino, perché vengo più affascinata  che colpita da qualcosa di bello e basta. Quindi se guardo qualcosa,  per essere bella per me,  deve affascinarmi, deve darmi  delle suggestioni, deve essere qualcosa che mi spinge a dei sapori, a degli odori, che mi coinvolge sotto tutti i punti di vista sensoriali. Devo essere affascinata anche sinestesicamente. Per me è bello tutto ciò che ha una luce particolare  o un aspetto che rimanda a qualcos’altro, un segno del tempo che mi fa riflettere sul passato. Infatti mi piace tantissimo tutto ciò  che è usato:  abiti usati, vecchi orologi, vecchie scatole, tutto ciò che ha i segni del vissuto.

 

  1. Il mondo non è solo come lo vediamo, è anche come lo dipingiamo per chi è in grado di farlo, come te. Quando dipingi o quando fotografi, a lavoro finito, c’è stato una volta (o più volte) in cui ciò che avevi creato aveva un messaggio anche per te, ti ha aperto alla comprensione di qualcosa di te a cui non avevi pensato prima di quel momento?

6 ph sara palmiotti
Ph: Sara Palmiotti

Sì, è successo molte volte. Anche il lavoro sul Mediterraneo mi ha fatto scoprire il mio profondo legame alla mia terra. Nonostante  quel lavoro sia sul Mediterraneo in generale,  è inevitabile notare che comunque c’è un forte richiamo alla Puglia, alla mia terra. Nei miei lavori si percepisce questa mia mediterraneità, anche in quelli pittorici,  che comunque non vedo molto “miei”, parlano meno di me,  sono molto più forzati.

Anche nella scelta dei colori, negli accostamenti fatti in maniera del tutto inconsapevole, senza una volontà precisa, c’è sempre qualcosa di Mediterraneo:  l’accostamento del blu all’arancione e  all’oro, per esempio, e c’è anche  sempre qualcosa che rimanda alla Magna Grecia:  i colori caldi, la luce. È quanto  è accaduto con il lavoro sul Mediterraneo in cui, nell’assemblare tutte quelle foto diverse in modo da creare una profondità e  nuovi  paesaggi, il risultato finale parlava di me.  Chi le guarderà potrà, in un certo senso, “entrarmi dentro”, perché quelle foto è come se fossero me, una parte di me.

 

  1. Se potessi dipingere adesso, in questo momento, o scattare una fotografia partendo da un colore, quale useresti? E perché?9

Sceglierei l’azzurro. I colori che “mi perseguitano” da sempre sono l’azzurro e il verde. Però, in particolar modo in questo periodo, è l’azzurro  il colore che cerco e che preferisco, soprattutto in contrasto con il bianco. Mi piace anche indossarlo perché,  in questo momento,  potrebbe  rispecchiare meglio di qualunque altro colore, il mio stato d’animo. L’azzurro  è un colore molto profondo, emotivo, “lunatico” quasi, ed io sono un po’ così in questo periodo: lunatica. Quindi, indubbiamente, l’azzurro è il colore che, in questo momento, mi rispecchia maggiormente  e che sicuramente mi affascinerebbe tanto  se adesso dovessi scattare una foto.

  1. Quale messaggio vorresti trasmettere con la tua arte? Quando dipinge, quando fotografa, cosa ci sta dicendo Giorgia Zecca?4

Io vorrei infondere serenità, equilibrio. È  quello che ho sempre cercato di fare anche con i dipinti, non ho mai pensato di esprimere sofferenza, dolore, castrazione o tutti questi sentimenti che spesso invece caratterizzano l’arte contemporanea. Spesso mi è capitato, durante  questi tre anni di Accademia, di  discutere con i miei compagni e con i Professori  proprio di quanto, secondo me, sia ingiusto questo stereotipo dell’artista “maledetto” che soffre e che deve necessariamente esprimere la propria sofferenza nelle sue opere. Io ho sempre voluto esprimere la serenità, l’equilibrio.

Vorrei che la gente guardando i miei lavori si sentisse rilassata… come se stesse prendendo una boccata d’aria.

Gabriella Grande

 

Giorgia Zecca (Taranto, 6 dicembre 1995) Diplomata nel 2014 al Liceo Linguistico Internazionale Aristosse­no di Taranto, ha iniziato a frequentare il corso di Pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Bolo­gna nell’ottobre dello stesso anno.

Nel giugno del 2016 ha partecipato alla mostra “Get out” presso la Galleria Più, curata dal pro­fessore Lelio Aiello.

Nello stesso periodo ha esposto un trittico di fo­tografie in occasione dell’Open Tour presso l’Ac­cademia di Belle Arti di Bologna.

A giugno del 2017 ha di nuovo partecipato all’O­pen Tour presso l’Accademia di Belle Arti espo­nendo il trittico “Il borgo/Il mare/La luce” e con lo stesso lavoro ha partecipato alla mostra MediterrArte curata dal professore Bruno Benuzzi e Enrico Ace­ti, prima presso la Galleria ArtForum Contempo­rary e successivamente a Beirut, in Libano.

(*) Trittico e recensione:

https://gabriellagrandeblog.wordpress.com/2017/09/11/lanima-della-luce-nel-trittico-il-borgoil-marela-luce-dellartista-giorgia-zecca/

 

L’anima della luce nel trittico “Il borgo/Il mare/La luce” dell’artista Giorgia Zecca

Giorgia Zecca (Taranto, 1995) dipinge con la luce, non la fotografa soltanto. Gli scatti della reflex come colpi di pennello, i tagli delle foto e le sovrapposizioni come si modella un blocco con lo scalpello, e la luce è il solo vero colore, tutti gli altri ne risultano diluiti, sciolti  in quella radiazione luminosa  riflessa nell’iride verde degli occhi di questa artista di soli 22 anni, che mentre mi descrive la finalità della sua composizione sul Mediterraneo “Il borgo/Il mare/La luce” è seria, attenta, concentrata su quelle foto, ferma nella sua postura eretta, come stesse ancora catturando altro di quella luce. Un diaframma i suoi occhi mentre mi parla e poi sorride con tutta l’innocenza dei suoi anni e la verità dell’arte  si  palesa  per un istante: l’artista ferma, seria, concentrata è qualcosa di più grande dell’uomo eppure è nell’uomo ed è un mistero che si manifesta  quando l’occhio dell’artista si impasta con la materia dell’arte e le dà forma.

“Il borgo/Il mare/La luce é un trittico che nasce dall’esigenza di mettere in luce la mia perce­zione dei luoghi bagnati dal Mediterraneo che ho visitato nel corso della mia vita. Attraverso la sovrapposizione di più immagini, ho creato dei paesaggi ideali, uno per ognuna delle tre dimensioni comuni in tutti quei luo­ghi: il tipico borgo di pescatori con arcate e vicoletti, gli scogli e le rocce che portano il se­gno della presenza del mare e le caratteristiche case bianche che riflettono l’accecante luce del sole.” (Giorgia Zecca)

La sovrapposizione delle foto che Giorgia realizza cerca l’incastro perfetto della luce. La combinazione fotografica salda i frammenti, le zone di confine perdono la loro delimitazione creando una capsula temporale che amplifica il potere dell’immagine nella sua possibilità di espansione  e il raggio che si disperde nei margini di una foto è nell’altra che si rigenera e si rafforza. C’è un luogo in cui si dipinge, passa attraverso gli occhi e nel trittico dell’artista Zecca  trovano nuove conferme le parole dello scrittore e filosofo tedesco Ernst Jünger: “L’ottica esteriore dipende da quella interiore e non viceversa”.

Nell’osservare il trittico di Giorgia Zecca il nostro sguardo non si ferma sull’immagine, ma la attraversa perché l’artista utilizza il plexiglass come supporto fotografico, la cui trasparenza rappresenta un’artificiale “mente vergine vuota” che  ci consente di guardare oltre, ponendo il soggetto artistico quasi sull’orlo del vuoto, orfano di un supporto, fragile, sospeso. Il Mediterraneo diventa per Giorgia un luogo mentale, uno spazio di ricerca, mare che vediamo solo  e ancora “attraverso”…attraverso la traccia che ha lasciato nel tempo su quegli scogli in cui immoto e movimento sono irrimediabilmente uniti come lo sono nelle camere dell’anima. Fotografa l’anima degli spazi Giorgia, per questo i volti sono inaccessibili, esistono solo a distanza. La foto, “liberata” dalla carta, lascia che ne affiori la profondità del mistero a cui veniva impedita l’emersione in  superficie, generando un’emozione, la più accesa di tutte: la nostalgia di un invisibile di cui quella luce ci dà percezione. La luce, nelle foto di Giorgia Zecca, è un’esperienza.

Così diceva Cézanne (“Cézanne. Dialogo di un’amicizia” di Joachim Gasquet, Edizioni Mimesis, 2010):

Chiuda gli occhi, attenda, non pensi a niente. Li apra […] che dice? Non si vede che un immenso ondeggiare colorato, no? Un’iridescenza, dei colori, una ricchezza di colori. Questo deve darci il quadro in primo luogo […]un abisso dove l’occhio sprofonda, una sorda germinazione. Uno stato di grazia colorato. Tutti questi toni vi penetrano nel sangue, vero? Ci si sente rianimati. […] si diventa se stessi, si diventa pittura.” …

…Si diventa fotografia.

Dall’Accademia di Belle Arti di  Bologna, un’artista da tenere d’occhio assolutamente:  Giorgia Zecca, che dipinge con la luce.

Gabriella Grande

giorgia zecca 2
“Il borgo” (2017), Foto stampata su plexiglass, 50×125 cm

giorgia zecca 3
“Il mare” (2017), Foto stampata su plexiglass, 50×125 cm

giorgia zecca 1
“La luce” (2017), Foto stampata su plexiglass, 50×125 cm

PASSEGGIANDO CON LA MIA BRIDGE

 

13428353_1211030355576192_9149792082955345013_n

Inseguiamo tutti qualcosa.

L’altro non esiste in questa corsa.

Siamo nomadi

in cerca di un disegno astratto da commentare,

mai il nostro.

“Atlantic 1762”

è tutto quello che ho di te mentre passi.

E forse è per questo che ti incagli qui

come l’obiettivo della mia bridge tra i capelli di Circe

che odorano di bambù

e di questo mare che ci guarda tutti scomparire

mentre resta.

Con te,  invece,

sono stata in Kenya

il tempo di attraversare la tua maglietta.

Non dovrebbe essere più  di così.

Un istante condiviso

e poi il vuoto.

Un istante di me

in te.

Lettura controllata

che curva solo un momento.

Siamo estranei.

Lo rimarremo per sempre.

Bastava dirselo.

 

Gabriella Grande, 2016 © Riproduzione riservata