La fotografa e pittrice Giorgia Zecca (Taranto, 1995), nel giugno 2017 ha partecipato all’Open Tour presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna, esponendo il trittico “Il borgo/Il mare/La luce” (recensito su questo blog) e con lo stesso lavoro ha partecipato alla mostra MediterrArte curata dal professore Bruno Benuzzi e Enrico Aceti, presso la Galleria ArtForum Contemporary e successivamente a Beirut, in Libano.
- Stai per laurearti all’Accademia di Belle Arti di Bologna. Cosa significa per te scegliere l’arte non solo come passione, ma come percorso di vita?
Io ho iniziato in maniera molto ingenua l’Accademia di Belle Arti, perché a Taranto non sono mai riuscita a respirare molta arte come avrei desiderato, come invece ne sentivo la necessità, e guardavo all’Accademia di Belle Arti di Bologna come ad un sogno. Poi, però, già dopo il primo anno a Bologna, ho capito che è la fotografia il mezzo con cui mi esprimo con maggiore verità, mentre la pittura – che è il corso che ho scelto di seguire in Accademia – non è esattamente la mia strada. Quindi posso dire che ho scelto l’arte come percorso di vita, come professione, perché mi piacerebbe tanto lavorare sempre nel mondo dell’arte, però ciò che mi appassiona davvero moltissimo è la fotografia. Infatti questi tre lavori sul Mediterraneo (*) scaturiscono proprio da questa passione per la fotografia e per la mia terra.
- Mi hanno molto colpita le tue foto sul Mediterraneo (*). La luce è la grande protagonista. Quando decidi lo scatto, quello che insegui è la bellezza che la luce conferisce alla forma delle cose, alla loro relazione o lo stato d’animo, l’emozione che smuove in te quello che la luce è stata in grado di rivelarti in quel momento? Ovvero, è la luce che ti svela qualcosa o sei tu che interpreti la luce?
La luce è una cosa che sento molto dentro, proprio come uno stato d’animo. Io vivo la luce in maniera molto emotiva da sempre, da quando ero piccola. Quando vado a fotografare, per me la luce è fondamentale, perché mi piace modificare le foto il meno possibile e quindi se riesco a trovare, nel posto in cui sono, la luce “perfetta”, sia per come mi sento io in quel momento sia per come valorizza l’architettura del luogo o il paesaggio, allora quello è proprio il momento ideale per scattare una foto. In generale, quando torno a casa dopo aver visitato un luogo, sento a pelle di aver fatto delle belle foto se c’era una bella luce, se c’era la luce “esatta”, ovvero la luce che rispecchiava il mio stato d’animo. Spesso, invece, mi capita di sentirmi delusa proprio in base alla luce. Magari quel giorno c’era un temporale o una giornata meno luminosa ed io, invece, ero molto luminosa “dentro” e quando poi andavo a scattare, non riuscivo a cogliere niente di interessante e tornavo a casa delusa. Questo mi è successo un sacco di volte. Quindi, indubbiamente, la luce è uno dei motivi centrali della mia vita in generale, ma anche della fotografia e del mio stile.
- Sempre parlando delle tue foto (*), la bellezza di quegli scogli, del modo in cui sono stati scolpiti dal Mediterraneo sta anche nel loro essere indifesi, nella loro assoluta mancanza di protezione. L’artista, secondo te, è indifeso come quegli scogli quando lo investe l’intuizione di quello che creerà?
Sì, siamo tutti indifesi. Un po’ in generale tutti gli artisti lo sono. L’ho potuto notare anche in Accademia. Noi artisti siamo presi dal momento, dall’ispirazione, ma poi quando a lavoro finito lo guardiamo insieme ai Professori, ad altri artisti o nel contesto di una mostra, siamo tutti fragili, siamo tutti impauriti, siamo tutti spaventati. L’artista in generale tende ad essere facilmente un bersaglio. È un concetto soggettivo l’arte, per questo è “soggetta” (scusa il gioco di parole!) proprio ad essere colpita anche dai pareri più brutali o a non essere capita proprio per niente. E a me è successo tante volte, anche in questi anni, di avere in mente un’ idea ben precisa e poi, quando invece mostravo la mia opera, veniva capito tutt’altro e mi sentivo colpita, mi sentivo ferita nel profondo, proprio perché non veniva colto il senso che volevo dare all’opera. È un continuo lavoro su me stessa, anche perché da quelle critiche sono derivati gli spunti di riflessione per capire meglio come mai il mio lavoro avesse dato quell’impressione e non quella che mi ero programmata di dare.
- Nel saggio “Della regola del gusto” il filosofo Hume scrive che “la bellezza non è una qualità delle cose stesse: essa esiste soltanto nella mente che le contempla, e ogni mente percepisce una diversa bellezza.” Cos’è bello per te?
Ph: Violetta Petrelli
Per me è bello sicuramente tutto ciò che ha un fascino. Io faccio sempre distinzione tra bellezza e fascino, perché vengo più affascinata che colpita da qualcosa di bello e basta. Quindi se guardo qualcosa, per essere bella per me, deve affascinarmi, deve darmi delle suggestioni, deve essere qualcosa che mi spinge a dei sapori, a degli odori, che mi coinvolge sotto tutti i punti di vista sensoriali. Devo essere affascinata anche sinestesicamente. Per me è bello tutto ciò che ha una luce particolare o un aspetto che rimanda a qualcos’altro, un segno del tempo che mi fa riflettere sul passato. Infatti mi piace tantissimo tutto ciò che è usato: abiti usati, vecchi orologi, vecchie scatole, tutto ciò che ha i segni del vissuto.
- Il mondo non è solo come lo vediamo, è anche come lo dipingiamo per chi è in grado di farlo, come te. Quando dipingi o quando fotografi, a lavoro finito, c’è stato una volta (o più volte) in cui ciò che avevi creato aveva un messaggio anche per te, ti ha aperto alla comprensione di qualcosa di te a cui non avevi pensato prima di quel momento?

Sì, è successo molte volte. Anche il lavoro sul Mediterraneo mi ha fatto scoprire il mio profondo legame alla mia terra. Nonostante quel lavoro sia sul Mediterraneo in generale, è inevitabile notare che comunque c’è un forte richiamo alla Puglia, alla mia terra. Nei miei lavori si percepisce questa mia mediterraneità, anche in quelli pittorici, che comunque non vedo molto “miei”, parlano meno di me, sono molto più forzati.
Anche nella scelta dei colori, negli accostamenti fatti in maniera del tutto inconsapevole, senza una volontà precisa, c’è sempre qualcosa di Mediterraneo: l’accostamento del blu all’arancione e all’oro, per esempio, e c’è anche sempre qualcosa che rimanda alla Magna Grecia: i colori caldi, la luce. È quanto è accaduto con il lavoro sul Mediterraneo in cui, nell’assemblare tutte quelle foto diverse in modo da creare una profondità e nuovi paesaggi, il risultato finale parlava di me. Chi le guarderà potrà, in un certo senso, “entrarmi dentro”, perché quelle foto è come se fossero me, una parte di me.
- Se potessi dipingere adesso, in questo momento, o scattare una fotografia partendo da un colore, quale useresti? E perché?
Sceglierei l’azzurro. I colori che “mi perseguitano” da sempre sono l’azzurro e il verde. Però, in particolar modo in questo periodo, è l’azzurro il colore che cerco e che preferisco, soprattutto in contrasto con il bianco. Mi piace anche indossarlo perché, in questo momento, potrebbe rispecchiare meglio di qualunque altro colore, il mio stato d’animo. L’azzurro è un colore molto profondo, emotivo, “lunatico” quasi, ed io sono un po’ così in questo periodo: lunatica. Quindi, indubbiamente, l’azzurro è il colore che, in questo momento, mi rispecchia maggiormente e che sicuramente mi affascinerebbe tanto se adesso dovessi scattare una foto.
- Quale messaggio vorresti trasmettere con la tua arte? Quando dipinge, quando fotografa, cosa ci sta dicendo Giorgia Zecca?
Io vorrei infondere serenità, equilibrio. È quello che ho sempre cercato di fare anche con i dipinti, non ho mai pensato di esprimere sofferenza, dolore, castrazione o tutti questi sentimenti che spesso invece caratterizzano l’arte contemporanea. Spesso mi è capitato, durante questi tre anni di Accademia, di discutere con i miei compagni e con i Professori proprio di quanto, secondo me, sia ingiusto questo stereotipo dell’artista “maledetto” che soffre e che deve necessariamente esprimere la propria sofferenza nelle sue opere. Io ho sempre voluto esprimere la serenità, l’equilibrio.
Vorrei che la gente guardando i miei lavori si sentisse rilassata… come se stesse prendendo una boccata d’aria.
Gabriella Grande
Giorgia Zecca (Taranto, 6 dicembre 1995) Diplomata nel 2014 al Liceo Linguistico Internazionale Aristosseno di Taranto, ha iniziato a frequentare il corso di Pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna nell’ottobre dello stesso anno.
Nel giugno del 2016 ha partecipato alla mostra “Get out” presso la Galleria Più, curata dal professore Lelio Aiello.
Nello stesso periodo ha esposto un trittico di fotografie in occasione dell’Open Tour presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna.
A giugno del 2017 ha di nuovo partecipato all’Open Tour presso l’Accademia di Belle Arti esponendo il trittico “Il borgo/Il mare/La luce” e con lo stesso lavoro ha partecipato alla mostra MediterrArte curata dal professore Bruno Benuzzi e Enrico Aceti, prima presso la Galleria ArtForum Contemporary e successivamente a Beirut, in Libano.
(*) Trittico e recensione: